a questo povero foglio son negate le follie della campagna, e voi lo leggerete forse un po’ annojati dalla solitudine, fra le quattro mura di una brutta casa, chiamata palazzo in codesti paesi di morti. Conviene dunque che questa lettera sia seria e un po’ anche nojosa.
Arrivato in Palermo, dopo aver lasciato la zia nella sua vecchia casa, trovai il triste avviso della morte del fratello di Carmelo, in questo poche parole: – «Mimì è morto il giorno 20, sulle cinque ore e mezzo del mattino. Non ha la forza di dirti altro il povero Carmelo tuo»¹ .
Mi addolorai molto. Stetti fin dopo la mezzanotte come un istupidito a pensare, senza saper far nulla, troppo compreso e stravolto dal dispiacere per poter prendere una risoluzione qualsiasi.
Poi non so da qual pensiero fui mosso a scrivere a Carmelo, ma la lettera scritta in quel momento di concitazione è ancora sul mio tavolo e pare che non ci sia verso che io mi rammenti di spedirla.
Tutto questo per dirvi che da due giorni son triste e annojato, e che perciò la lettera deve per necessità riuscir seria e nojosa.
Sono di già in casa della zia Sara, non ancora però bello e rassettato, avendo ancor tutto nell’antica dimora. Senza libri, senza carta, senza letto mio, mi sento mezzo uomo e sembro discretamente imminchionito. Speriamo che tra breve…
Mi annoja, mi annoja, mi annoja lo scrivere. Butto la penna che zoppica e mi sporca le mani.
La zia e Ninella vi scriveranno tra breve. Don Jano² redivivo, o meglio l’ombra di Don Jano, promette di narrar tutto l’accaduto alla zia, che vi riferirà ogni cosa.