la giornata di ieri, non perché in essa è ricorso il mio onomastico, ma per l’affettuosa festa che Rocco, la signora Adelaide e tutta la famiglia Verger mi hanno fatto, mi resterà sempre lietamente in memoria. Grato agli auguri veramente sentiti, grato ai regali, e gratissimo poi a tutto quello che mi hanno fatto durante un intero anno, e specialmente nell’occasione della mia malattia, io resterò loro per tutta la vita, tantissimo. E però solo mi duole, che io debba fra breve lasciarli. Dalla città di Roma, a cui venni pieno di illusioni, senza entusiasmo me ne allontano. Sono i romani tanto per dire, che si ostinano a chiamar questa Roma; ma per me essa può chiamarsi anche Bisanzio, o in altro modo. Roma fu, e ciò che ne resta è solo rovina: io la sento tra’ frantumi del Foro.
Della nuova, in vane carte ho notato il dispetto, in trentadue Elegie della Città che non han trovato e non troveranno un becco di editore che vorrà pubblicarle.¹ Io per me anco dell’arte ho perduto la fede; e se vi perduro è soltanto per non stare in ozio, da cui aborro. Per altro, senza una stretta al cuore potrei tornare a bruciare tutta la carta che ho sporcato, quando anche scarso, direbbe il Boccaccio, più che il fistolo,² non mi decidessi per avventura a venderla a un salumaio o a un fruttivendolo. Ma a voi tutto questo non deve nulla importare. Vi basti sapere che sto perfettamente sano.
Il giorno 28 partirò inevitabilmente da Roma. E porterò meco la medaglia di Aspromonte con un attestato dell’onorevole Menotti Garibaldi. Ve ne avverto per farmi a tempo la spedizione (mala sorte mia, sarà sempre così?) del denaro del viaggio. Credetemi, io sarei un uomo felice se potessi viver di vento; e soltanto perché non c’è cosa che mi dolga e mi indisponga di più, che il chiedere del danaro, a te papà mio, che so quanto ti costa il guadagnarlo. D’altro canto penso, e mi conforta, che non l’ho fatto mai per passarmi un piacere, ma perché vi sono stato sempre costretto da un bisogno. Grazie a voi, senza che io ve l’abbia mai chiesto, quando avete voluto che mi prendessi un qualsiasi divagamento, con amorosa cura me ne avete sovvenuto innanzi. Ma usciamo di questo discorso, che mi scotta. È molto tempo che non ricevo lettere di Lina nostra. Mi par mille anni che io la possa baciare e ribaciare insieme a tutti voi, mie dolcissime anime, che sole siete la forza che mi lega alla vita. Vivetevi sani e lieti e ricordatevi sempre del vostro